lunedì 5 gennaio 2015

LA CORRIFERRARA A SPASSO NEL TEMPO 13

13° PUNTATA – IL CARDINALE E LA LANA

Palazzo Riminaldi
 
Oggi ho voglia di inforcare la mia Bianchi, è troppo tempo che è ferma in garage, un po' di movimento farà bene ad entrambi.
Da Via Boschetto mi dirigo verso Via Comacchio, quindi la ciclabile di Via Ravenna, ma il rosso semaforico, sul ponte di San Giorgio, mi obbliga ad una fermata.
Mentre un via vai continuo di auto, sfreccia tra via Volano e via Colombarola, la sosta è salutare per le mie mani, per un attimo possono assaporare il tepore delle mie tasche, i guanti li lascio sempre a casa...se lo dicessi a mio nonno saprei già la sua risposta: “par ioc an fa mai l'alba”.
Dopo questa perla di saggezza popolare, arriva il verde e si riparte, la zona est di Ferrara è ancora la mia meta.


Da Via San Maurelio a Via Porta Romana e quindi Via Formignana, ma prima di entrarci è di rigore una brevissima sosta.
Non c'è targa, non c'è una lapide e nemmeno altre indicazioni evidenti, ma se ci fermiamo all'inizio della strada, sulla sinistra, al civico 88, e ci soffermiamo a scrutare il portale marmoreo della casa, ci appaiono due curiose immagini scolpite.
Durante dei lavori di manutenzione dell'edificio, sono venuti alla luce questi simboli, in pratica delle primitive insegne commerciali, questa era l'abitazione di un costruttore di balestre di casa D'Este.



Lasciando all'immaginazione come poteva essere questa bottega, il mio biciclo scalpita per ripartire e così mollo le briglie e le prime pedalate sulla via Formignana prendono forma.
Fino al '300, oltre alla strada, vi era anche una Porta Formignana, all'altezza dell'incrocio con via Cisterna del Follo.
L'origine del nome deriva probabilmente dal Console romano Firminiano che, attorno al 900 d.c., aveva possedimenti nella nostra provincia, anche se, in passato, qualcuno ha supposto la presenza in città di una famiglia Formignani, ma in realtà tracce vere di questo casato non ci sono e nemmeno si hanno notizie del periodo nel quale abbia vissuto a Ferrara, quindi prendiamo per buona la tesi del Console Romano e, sempre con la nostra viva immaginazione, non sarebbe brutto pensare che anche la nostra amata città, sia stata attraversata da generali come Massimo Decimo Meridio di “Gladiatore” memoria, e che, durante un passaggio, si sia presentato davanti al nostro Console Firminiano e si sia presentato esclamando le sue famose parole: “Mi chiamo Massimo Decimo Meridio, comandante dell'esercito del nord, generale delle legioni Felix, servo leale dell'unico vero imperatore Marco Aurelio” .
Il clacson di un'auto però mi riporta alla realtà, continuo a pedalare e, attraversata via Carlo Mayr eccomi al termine della strada.
Smonto dalla bici e prendo contromano Via Cisterna del Follo, la meta è Palazzo Diotisalvi Neroni.
Palazzo Diotisalvi Neroni
 
Questo edificio diede anticamente anche il nome a questa strada, successivamente mutato in
Cisterna del Follo.
Il nome che tutt'ora porta, deve essere fatto risalire al secolo XIV, quando in queste zone esisteva una cisterna, un pozzo, per lavare la lana grezza e per follare i panni, pratica con la quale se ne condensava il pelo.
Bastano pochi passi ed immediatamente la torre del palazzo appare ai nostri occhi.
Se si eccettuano quelle del Castello, questa è l'unica rimasta in città, le altre sono state abbattute nei secoli o trasformate in campanili (come quelle delle chiese di S.Paolo e S.Gregorio).
La sua prima pietra venne posata nel 1469 quando Borso d'Este, decise di dare una dimora a tale Diotisalvi Nerone, un fiorentino che nel 1460 scappò a Ferrara dopo aver partecipato alla congiura dei Pitti contro casa Medici.
Successivamente passò di mano più volte, finché ne divenne proprietario Francesco d'Este, che costruì una serie di giardini per collegarlo con l'abitazione della figlia, Marfisa d'Este.
Nel 1643, gli Estensi, o meglio il ramo estense che rimase a Ferrara (i Cybo, eredi di Marfisa), cedette il palazzo al conte Borso Bonacossi, la cui famiglia ne restò proprietaria fino al 1911 quando passò al Comune di Ferrara.


Dopo anni di abbandono, iniziò un lento, ma graduale opera di recupero, che si concluse nel 2000 e che lo ha portato ad essere la sede dei Musei Civici di Arte Antica.
Al suo interno è oggi ospitata anche la collezione Riminaldi, una preziosa raccolta di sculture in marmo, piccoli bronzi, raffinati arredi, mosaici e dipinti, collezionati dal Cardinale Gian Maria Riminaldi.
Questo è un altro personaggio ferrarese poco noto, ma che merita qualche riga, anche perché sotto la sua spinta, un suo erede, alcuni decenni dopo la sua morte, iniziò un'importante opera di carattere artistico rimasta incompiuta, opera che è agli occhi dei ferraresi tutte le volte che passeggiano sull'amato “listone”.

Entrata Palazzo Riminaldi

 
Gian Maria Riminaldi nacque a Ferrara nel 1718, a 14 anni si trasferì a Modena per gli studi che continuarono poi a Ferrara; una volta terminati, intraprese la carriera religiosa.
Dal 1746, la sua carriera ecclesiastica fu un continuo crescendo che avanzò di pari passo con gli interessi per arte, storia e architettura.
A partire dal 1770 riorganizzerà da Roma tutta la vita politica e culturale dell’Università di Ferrara, seguì inoltre i lavori di Palazzo Paradiso (all'epoca sede universitaria), e alimentò la biblioteca con continue donazioni, in particolar modo tra il 1780 ed 1783.
Il 14 febbraio 1785, Papa Pio VI lo elevò al rango di Cardinale, carica di cui non poté fregiarsi per molto tempo, in quanto, soli 4 anni dopo, a Perugia, cessò di vivere.
Le sue spoglie verranno poi portare nella Chiesa di S.Francesco, nella cappella di famiglia.

Ed ora andiamo sul Listone.

L'opera di cui accenniamo, purtroppo solo iniziata e mai portata a termine, riguarda la loggia dei merciai, cioè la fila dei negozi addossati al nostro duomo.
Poniamoci con la via San Romano alle spalle, e guardiamo i negozi da sinistra a destra, catalizzando l'attenzione sulla parte superiore della loggia. 

Particolare della Loggia dei Merciai

Le prime vetrine, partendo dalla piazza della Cattedrale, sono sormontate da archi, anche se parzialmente chiusi, ed un muretto (che l'usura del tempo e la scarsa manutenzione, non ci permettono più di definirlo bianco), mentre quelle successive, hanno una copertura abbastanza classica e di archi non c'è traccia, questa è l'opera di cui parliamo.
Al tempo della corte Estense, tutta la copertura della loggia era come la prima parte, questo perché era utilizzata come balcone su cui la corte saliva, quando sulla piazza si svolgevano giochi, oppure sfilate o altre manifestazioni similari, poi, nei secoli successivi, a causa di terremoti, incendi, incuria, questa sorta di lungo balcone subì innumerevoli danni, a tal punto che si procedette al rifacimento delle coperture sul tipo di quelle che vediamo nella parte destra, in quanto più semplici da realizzare e meno costose.
Come si può leggere da una lapide posta agli inizi della loggia, ormai dimenticata e piuttosto bisognosa di una pulizia, ma fortunatamente ancora ben leggibile, nei primi anni '40 dell'800, l'allora Gonfaloniere (sindaco) della città, Ippolito Saracco Riminaldi (nipote del nostro Cardinale), per dare maggior lustro alla città e provare a ridare alla piazza, la bellezza rinascimentale persa, decise di ricostruire la copertura della loggia riportandola alle origini.

E' curioso notare come la lapide porta l'anno di inizio lavori, ma la data di termine è assente, proprio perché l'idea del Riminaldi è rimasta una bella incompiuta. 


Ed anche per oggi abbiamo finito.

Alla prossima

Alessandro Polesinanti