13° PUNTATA – IL CARDINALE E LA
LANA
Palazzo Riminaldi |
Oggi ho voglia di
inforcare la mia Bianchi, è troppo tempo che è ferma in garage, un
po' di movimento farà bene ad entrambi.
Da Via Boschetto mi
dirigo verso Via Comacchio, quindi la ciclabile di Via Ravenna, ma il
rosso semaforico, sul ponte di San Giorgio, mi obbliga ad una
fermata.
Mentre un via vai
continuo di auto, sfreccia tra via Volano e via Colombarola, la sosta
è salutare per le mie mani, per un attimo possono assaporare il
tepore delle mie tasche, i guanti li lascio sempre a casa...se lo
dicessi a mio nonno saprei già la sua risposta: “par ioc an fa mai
l'alba”.
Dopo questa perla di
saggezza popolare, arriva il verde e si riparte, la zona est di
Ferrara è ancora la mia meta.
Da Via San Maurelio a Via
Porta Romana e quindi Via Formignana, ma prima di entrarci è di
rigore una brevissima sosta.
Non c'è targa, non c'è
una lapide e nemmeno altre indicazioni evidenti, ma se ci fermiamo
all'inizio della strada, sulla sinistra, al civico 88, e ci
soffermiamo a scrutare il portale marmoreo della casa, ci appaiono
due curiose immagini scolpite.
Durante dei lavori di
manutenzione dell'edificio, sono venuti alla luce questi simboli, in
pratica delle primitive insegne commerciali, questa era l'abitazione
di un costruttore di balestre di casa D'Este.
Lasciando
all'immaginazione come poteva essere questa bottega, il mio biciclo
scalpita per ripartire e così mollo le briglie e le prime pedalate
sulla via Formignana prendono forma.
Fino al '300, oltre alla
strada, vi era anche una Porta Formignana, all'altezza dell'incrocio
con via Cisterna del Follo.
L'origine del nome deriva
probabilmente dal Console romano Firminiano che, attorno al 900 d.c.,
aveva possedimenti nella nostra provincia, anche se, in passato,
qualcuno ha supposto la presenza in città di una famiglia
Formignani, ma in realtà tracce vere di questo casato non ci sono e
nemmeno si hanno notizie del periodo nel quale abbia vissuto a
Ferrara, quindi prendiamo per buona la tesi del Console Romano e,
sempre con la nostra viva immaginazione, non sarebbe brutto pensare
che anche la nostra amata città, sia stata attraversata da generali
come Massimo Decimo Meridio di “Gladiatore” memoria, e che,
durante un passaggio, si sia presentato davanti al nostro Console
Firminiano e si sia presentato esclamando le sue famose parole: “Mi
chiamo Massimo Decimo Meridio, comandante dell'esercito del nord,
generale delle legioni Felix, servo leale dell'unico vero imperatore
Marco Aurelio” .
Il clacson di un'auto
però mi riporta alla realtà, continuo a pedalare e, attraversata
via Carlo Mayr eccomi al termine della strada.
Smonto dalla bici e
prendo contromano Via Cisterna del Follo, la meta è Palazzo
Diotisalvi Neroni.
Palazzo Diotisalvi Neroni |
Questo edificio diede
anticamente anche il nome a questa strada, successivamente mutato in
Cisterna del Follo.
Il nome che tutt'ora
porta, deve essere fatto risalire al secolo XIV, quando in queste
zone esisteva una cisterna, un pozzo, per lavare la lana grezza e per
follare i panni, pratica con la quale se ne condensava il pelo.
Bastano pochi passi ed
immediatamente la torre del palazzo appare ai nostri occhi.
Se si eccettuano quelle
del Castello, questa è l'unica rimasta in città, le altre sono
state abbattute nei secoli o trasformate in campanili (come quelle
delle chiese di S.Paolo e S.Gregorio).
La sua prima pietra venne
posata nel 1469 quando Borso d'Este, decise di dare una dimora a tale
Diotisalvi Nerone, un fiorentino che nel 1460 scappò a Ferrara dopo
aver partecipato alla congiura dei Pitti contro casa Medici.
Successivamente passò di
mano più volte, finché ne divenne proprietario Francesco d'Este,
che costruì una serie di giardini per collegarlo con l'abitazione
della figlia, Marfisa d'Este.
Nel 1643, gli Estensi, o
meglio il ramo estense che rimase a Ferrara (i Cybo, eredi di
Marfisa), cedette il palazzo al conte Borso Bonacossi, la cui
famiglia ne restò proprietaria fino al 1911 quando passò al Comune
di Ferrara.
Dopo anni di abbandono,
iniziò un lento, ma graduale opera di recupero, che si concluse nel
2000 e che lo ha portato ad essere la sede dei Musei Civici di Arte
Antica.
Al suo interno è oggi
ospitata anche la collezione Riminaldi, una preziosa raccolta di
sculture in marmo, piccoli bronzi, raffinati arredi, mosaici e
dipinti, collezionati dal Cardinale Gian Maria Riminaldi.
Questo è un altro
personaggio ferrarese poco noto, ma che merita qualche riga, anche
perché sotto la sua spinta, un suo erede, alcuni decenni dopo la sua
morte, iniziò un'importante opera di carattere artistico rimasta
incompiuta, opera che è agli occhi dei ferraresi tutte le volte che
passeggiano sull'amato “listone”.
Entrata Palazzo Riminaldi |
Gian Maria Riminaldi
nacque a Ferrara nel 1718, a 14 anni si trasferì a Modena per gli
studi che continuarono poi a Ferrara; una volta terminati,
intraprese la carriera religiosa.
Dal 1746, la sua carriera
ecclesiastica fu un continuo crescendo che avanzò di pari passo con
gli interessi per arte, storia e architettura.
A partire dal 1770
riorganizzerà da Roma tutta la vita politica e culturale
dell’Università di Ferrara, seguì inoltre i lavori di Palazzo
Paradiso (all'epoca sede universitaria), e alimentò la biblioteca
con continue donazioni, in particolar modo tra il 1780 ed 1783.
Il 14 febbraio 1785, Papa
Pio VI lo elevò al rango di Cardinale, carica di cui non poté
fregiarsi per molto tempo, in quanto, soli 4 anni dopo, a Perugia,
cessò di vivere.
Le sue spoglie verranno
poi portare nella Chiesa di S.Francesco, nella cappella di famiglia.
Ed ora andiamo sul
Listone.
L'opera di cui
accenniamo, purtroppo solo iniziata e mai portata a termine, riguarda
la loggia dei merciai, cioè la fila dei negozi addossati al nostro
duomo.
Poniamoci con la via San
Romano alle spalle, e guardiamo i negozi da sinistra a destra,
catalizzando l'attenzione sulla parte superiore della loggia.
Particolare della Loggia dei Merciai |
Le prime vetrine,
partendo dalla piazza della Cattedrale, sono sormontate da archi,
anche se parzialmente chiusi, ed un muretto (che l'usura del tempo e
la scarsa manutenzione, non ci permettono più di definirlo bianco),
mentre quelle successive, hanno una copertura abbastanza classica e
di archi non c'è traccia, questa è l'opera di cui parliamo.
Al tempo della corte
Estense, tutta la copertura della loggia era come la prima parte,
questo perché era utilizzata come balcone su cui la corte saliva,
quando sulla piazza si svolgevano giochi, oppure sfilate o altre
manifestazioni similari, poi, nei secoli successivi, a causa di
terremoti, incendi, incuria, questa sorta di lungo balcone subì
innumerevoli danni, a tal punto che si procedette al rifacimento
delle coperture sul tipo di quelle che vediamo nella parte destra, in
quanto più semplici da realizzare e meno costose.
Come si può leggere da
una lapide posta agli inizi della loggia, ormai dimenticata e
piuttosto bisognosa di una pulizia, ma fortunatamente ancora ben
leggibile, nei primi anni '40 dell'800, l'allora Gonfaloniere
(sindaco) della città, Ippolito Saracco Riminaldi (nipote del nostro
Cardinale), per dare maggior lustro alla città e provare a ridare
alla piazza, la bellezza rinascimentale persa, decise di ricostruire
la copertura della loggia riportandola alle origini.
E' curioso notare come la
lapide porta l'anno di inizio lavori, ma la data di termine è
assente, proprio perché l'idea del Riminaldi è rimasta una bella
incompiuta.
Ed anche per oggi abbiamo
finito.
Alla prossima
Alessandro
Polesinanti