mercoledì 4 giugno 2025

(The great gig in the) Sky Trail Tre Cime del Covigliaio

Alessio Montanari ci porta nel mondo del trail con il bellissimo racconto della sua gara, fatta di momenti di fatica, gioia e soddisfazione, il tutto si racchiude in un :" ne è valsa la pena essere presente a questa manifestazione". 

Quando andate al ristorante (non da “plumoni”) dopo un po’ arriva al tavolo il sommelier che vi consiglia il vino da abbinare al piatto, per esaltarne al massimo le caratteristiche e valorizzare al meglio la pietanza ed i sapori. Giusto? Ecco, io invece consiglio la musica da abbinare a questo racconto, per meglio assaporare il viaggio, ben al di là delle cinque ore e trenta di corsa. Ed essendo il trail (ed in particolare questo) una favola moderna con contorni splatter, un viaggio onirico fra profumo di felci, gelsomino, foglie in decomposizione e terra umida e di muschio, funghi, resina legno bagnato, rugiada che si asciuga al sole e quello ben più concreto del proprio sudore incrostato di sale in faccia, del sangue che ti cola fra le dita sporche ti terriccio e che ti ciucci via, perché così “disinfetta”.

Ed il brano in questione é “The great gig in the sky” (non intendo dirvi l’autore perché voglio mantenere inalterata la stima in voi, anonimi lettori).

Sì sì… hai capito bene ciò che ti sto consigliando: sospendi un istante la lettura e dí “Alexa! fammi ascoltare The great gig in the sky dei Pink Floyd” e poi attacca di nuovo a leggere.

Fidati. Prova.

Al massimo mi manderai a cagare. 😉

Dicevamo? Ah sì, la favola.. c’era una volta un principe con le scarpette da corsa, che vagava per le campagne in cerca della principessa da salvare. E gira e gira per le basse poi un giorno cominciò ad errar e correre su e giù per montagna e collina, che metti mai che la trovi fuori sede. Intanto però sul suo cammino e sui tanti sentieri prova cose nuove e trova pezzettini di sé stesso; e di questa gara ricorderà più di qualche dettaglio, per tanto tempo e per molti aspetti.

Ma che dire se lasciamo la parola al protagonista della favola?


“Nessun malessere all’orizzonte, vado proprio a fare un “piacevole scarico”, per una volta senza spirito di competitività dopo le due buone gare dei giorni precedenti: con la consueta gestione delle energie mi son fatto sabato sera la mezza maratona a Bellaria (e PB!) e domenica mattina il Trofeo Liberazione a Fossanova S.Marco; con 31 km sulle gambe (a ritmi piuttosto barzotti) mi sembra più che salutare un trail da 40 km con D+2100 metri il lunedì 2 giugno… praticamente un happy ending per le mie articolazioni! 

Il viaggio versò Firenzuola (provincia di Firenze) é piacevole e con un clima che é un abbondante antipasto d’estate; si percorre un pezzo di Futa e Via degli Dei: quante moto e che scorci meravigliosi… e quella spia del motore nel quadro dell’auto: ce ne vorremo mica preoccupare?! ma no dai… é gialla… se fosse rossa capirei!

E fu così che un viaggio di due ore si trasformò in una bella via crucis con tanto di carroattrezzi e sosta dal meccanico: proviamo a prenderla con il giusto spirito e filosofia zen… e rende tutto grottesco il fatto che fuori dall’autofficina ci mettiamo a leggere poesie di Prévert mentre dall’interno il meccanico decanta poetiche ed inventive blasfemie con accento toscano (ma che sia comunque santificato, per essere venuto in soccorso il 1 giugno e per aver fatto l’intervento all’auto in un giorno festivo).

Arrivati a destinazione (con ovvio ritardo di molte ore) l’hotel é piccolino ma grazioso ed estremamente vitale, un brulicare di persone fra reception, segue e sala del ristorante. La camera ha un piccolo balcone che dà sulla piazzetta in una serata di festa paesana di Leopardiana memoria.

Crescentine e tigelle (sempre consigliato il fritto pre-gara) in piazza con musica dal vivo, luminarie e festoni; una bottiglia di Brunello di Montalcino (perché “abbiamo sconfitto la povertà”)  poi un po’ di lettura, yoga, preparazione meticolosa del vestiario per la gara (spicca un nuovo paio di calze da autentico coglione), massaggi e a letto presto. 

La mattina della gara sveglia alle 5:30 (partenza della 40km alle ore 7) e nel tragitto verso l’Oasi del Covigliaio il mental coach che mi disinnesca un po’: l’euforia dei giorni precedenti potrebbe rischiare di farmi partire a velocità sostenuta, ma in una gara lunga (e da inesperto del trail) devo saper dosare meglio le forze ed eventualmente gestire la batteria residua per fare una bella seconda parte di gara.

Alcune salite verso l’oasi sono tanto ripide che anche l’auto arranca; mi chiedo “ma io devo veramente salire pendenze come questa?!?” e in tutta risposta mi sento ribattere “probabile, ma immagina anche di scenderla a tutta birra!” Vabbè, grazie a dio c’è chi riesce a farmi vedere sempre il lato positivo di tutto…

L’aria in quota è veramente fredda e soprattutto tira un vento intensissimo e gelido; tutti con la giacca vento… io in canottiera Corriferrara: quando decido di indossare almeno l’antivento é già troppo tardi e l’intestino grida vendetta; alla procedura di punzonatura io sono in bagno impegnato in altre attività 😅


Fatto sta che riesco a presentarmi sulla linea di partenza pochi istanti prima del via, mentre stanno facendo briefing pregara: tutto bello, allestimento alla partenza emozionante, panorama che toglie il fiato, la natura che attraverso il vento urla tutta la sua potenza selvaggia. Stavolta allaccio per bene le scarpe con doppio nodo, mi spalmo la crema solare e prendo un gel pre-gara.

Si parte, e neanche il tempo di rendersene conto si comincia subito a salire; guardando la mappa altimetrica, la gara da 40 km divide in modo abbastanza omogeneo quattro salire (da qui “4 cime del Covigliaio”) circa ogni otto km, con le prime due salite un filo più impegnative delle seconde.


Due settimane fa ho corso il Bologna Marathon Trail ed anche se i due luoghi sono a poca distanza la differenza di paesaggio è sostanziale; inoltre questo é un “vero” trail (almeno per il mio modo di intendere il termine), quasi tutto in single track, molto impegnativo e soprattutto con appena 100/200 metri di asfalto in tutto; il resto é uno stupendo viaggio all’interno di boschi, a stare continuamente attenti ad ogni passo, a dove appoggi ogni impronta, alle radici le pietre, i rovi,  guadare ruscelli e rivoli d’acqua e cercare il punto migliore per non affondare fino al ginocchio nel fango. E poi è una Sky Race, quindi con passaggi in altimetrie importanti, dove l’ossigenazione non è proprio l’ideale per le mie condizioni.

Fatto sta che viaggio bene e mi faccio la prima parte di gara con un gruppetto di runner, fra cui un atleta della Leopoldistica (che mi stacca ad ogni discesa e prende la paga in salita) e la seconda e terza donna.

Hanno tutti i bastoncini, ma io da bel fenomeno ed alieno a queste gare ancora non ci penso (e poi: lunghi? corti? telescopici? In che materiale? di che marca?… da perderci il sonno!) ma in salita andiamo più o meno allo stesso ritmo (ma io sono al piccolo trotto e in risparmio energetico).

La seconda salita è effettivamente piacevole come un ananas nel


sedere, e oserei dire che si trattasse più di una scalata; arrivo in cima un po’ provato ma ancora bello motivato, e perdo un paio di secondi di a bocca aperta ad ammirare il panorama di tutta la valle sotto (davvero: wow! Che artista che è Dio!) mentre gli altri tirano fuori tutti il cellulare per le foto; é vero che non sono qui a fare la gara della vita, ma nemmeno a far servizi fotografici per il National Geographics (e non vado per boschi ad andature da cercatore di funghi), mi stampo quella foto sul cuore e riparto di slancio giù per il monte ma poi nella fase di discesa più tecnica e complicata mi superano di nuovo TUTTI (e di questa cosa bisognerà parlarne col mio allenatore se mai vorrò continuare questa disciplina, perché sta diventando imbarazzante 
😂). Ci sono persino le corde per tenersi in discesa, c’è fango e… uhhhh guarda quel cartello con scritto “attenti: discesa pericolosa” e SBAM! Neanche il tempo di finire di leggerlo e culo a terra, strisciata verso valle per qualche metro: non mi sono rotto niente, sanguino da un’unghia ma sti cazzi… non mi ferma mica questo! Sanguino da sempre in fondo e senza sangue non sono credibile, un po’ come John McClane in Die Hard.

Forse l’adrenalina per la caduta, forse il nuovo taglio modello Mark Renton o forse mi sale il Kilian Jornet, ma da quel momento c’è una trasformazione; supero 7-8 atleti, supero il cancello orario del 23º km (in abbondante e rassicurante anticipo) e poi mi regalo anche un’escursione out-track: ma quanto è bello perdersi nel bosco perché non vedi più fettucce e balisse? Mooolto… ma magari non durante una gara!

Vabbè, passano un paio di minuti in un’altra dimensione e finalmente ritrovo il mio posto nel mondo che mi hanno ripassato alcuni di quelli che avevo da poco sopravanzato; siamo vicini ai 30 km e si fa sentire il caldo di mezzogiorno; in quota il vento è ancora molto forte e fa respirare. Risupero per l’ennesima volta Simone che gentilmente mi lascia strada, ma gli dico che ho bisogno di compagnia e ci facciamo qualche km di chiacchiere: lui è un po’ in crisi, io sto meglio, lo porto per un po’ di km e poi al ristoro dei 32 km siamo un bel gruppetto, io mangio frutta come se non ci fosse un domani (da un rapido calcolo del valore delle ciliegie e delle albicocche, ho consumato almeno per 25€ ripagandomi abbondantemente l’iscrizione) e poi riparto. Passiamo a fianco ad una cava abbandonata e la maestosità del monte che ci sovrasta mi lascia senza parole. É evidente che a questo punto della gara sto meglio di chiunque perché anche nella salita più aspra io continuo a correre (in un modo credibile ed efficace!) sopravanzando avversari sdrenati dalla fatica.

Il corpo ha una memoria meccanica che non disimpara anche se non ripeti quell’attività per un lungo periodo, e le mie gambe ad un certo punto vanno da sole, senza sforzo; hanno appreso tanto dalle salite di due settimane fa e fatto tesoro di quella esperienza; ma anche il cuore evidentemente deve avere una sorta di memoria acquisitiva, un metodo ripetitivo di memorizzazione di sensazioni, immagini e sentimenti per cui basta un brevissimo pensiero per rigenerare un sorriso e moltiplicare le energie. C’è. Sempre.

Vado. Faccio l’ultima discesa senza senso, che nemmeno un muflone sardo; raggiungo alcuni runners e ne supero un altro paio e mi metto in scia a Luca Giovannoni che (mannaggia a lui) non si fa superare nonostante un ultimo chilometro sceso insieme a 4’00”/km. Ultima curva: arrivo! Non lo supero nemmeno in volata… Lo speaker chiama i nostri nomi e lo abbraccio stremato con un sorriso reciproco!

Stupendo! “Sì, stupendo (mi viene il vomito…)”: sforzo, gioia ed emozioni mi annebbiano la vista; una ragazzina mi mette la medaglia al collo… boh forse c’è raffigurato un muflone, forse un ariete…ho dato. Sono un filo annebbiato: mi stendo trenta secondi con la faccia sull’erba e i fiori, annuso la montagna e la vita nei suoi profumi; appena recupero un briciolo di lucidità riapro gli occhi e vedo un sorriso e quella mano tesa verso me ad offrirmi un bicchiere di birra fresca… nell’altra mano il dito fa da segnalibro a una determinata pagina di “storia di chi fugge e di chi resta - L’amica geniale”… il paradiso non è qui, ma é una rappresentazione molto verosimile. Semplicemente: grazie!

Arriva anche Simone una decina di minuti dopo me e lo applaudo come un vecchio amico con cui ho condiviso anni di corsa. Ci conosciamo da un’ora appena ma sono sinceramente felice di vederlo tagliare il traguardo.

Mi stendo un attimo e cerco una barretta nello zainetto da trail, scoprendo che la mia bimba mi ha nascosto dei piccoli ovetti di cioccolato in una tasca (“papà, quando hai bisogno di forza ti mangi i cioccolatini che ti regalo io”) e col calore del mio corpo e col sole battente sono diventati un’informe poltiglia di crema al cioccolato ed alluminio… lo zaino è un disastro ma mi scappa una risata fragorosa quando estraggo la mano dallo zaino e sembra che io l’abbia appena tirata fuori dal sedere di un elefante 🤣

Il post gara è un meraviglioso momento di festa dal sapore antico e paesano: il pacco gara é ricchissimo (due sacche di prodotti!), la t-shirt stupenda, la musica azzeccatissima; a dovergli cercare un difetto (oh ma proprio per far la punta ai chiodi eh?) c’è solo una doccia per uomini ed una per le donne: e salviette deumidificate sia…

Il pasta-party é un evento collettivo in cui tutti parlano con tutti di emozioni di corsa e progetti per il futuro; a tutti vengono servite svariate pietanze (“ah.. ma se tu sei vegetariano e non mangi carne, tieni: doppia razione di polenta e formaggio!”). Mi scofano tipo 3000 calorie di cibo buonissimo…E dulcis in fundo: le ciliegie! 

Alle premiazioni ci sono ancora più di duecento persone e sorrisi e applausi. É una festa.

Questo non è solo sport. Questa é emozione. É fiaba. É vita.

Io mi preparo per il prossimo, un altro grande spettacolo, ancora di più”.

E visse(ro) per sempre (felici e contenti)”. Fine.

A proposito… é finito il brano dei Pink Floyd?

A Luca Poletto, un abbraccio ovunque tu sia. Manchi.

Il tuo amico “fine dicitore”




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