La Marcia di Arquà, tra colli e versi
Nel dì quattordici di dicembre, quando l’anno già piega verso il suo silenzio d’inverno,
ad Arquà Petrarca, borgo caro ai sospiri e alla memoria del Poeta,
si levò il passo lieto e concorde della Marcia di Arquà, non per gara d’aspri primati,
ma per amor di strada, di colle e di respiro condiviso.
Qui, dove Francesco cantò d’amore e d’ascesa interiore,
i Colli Euganei offrirono ai corridori il loro volto più nobile:
sentieri di terra e tratti d’asfalto,
salite che domandano cuore e discese che donano visione.
Sopra, un sole limpido; sotto, la nebbia della Pianura, 
come un mare immobile da cui emergono colli-isole,
quasi leggende antiche di giganti addormentati o di fuochi vulcanici domati dal tempo.
Due i cammini proposti:
19 chilometri con 500 metri di dislivello, per chi ama la fatica piena e meditata;
13 chilometri con 300 metri di dislivello, per chi cerca misura senza rinuncia.
In entrambe le distanze, passo dopo passo,
si scriveva un canzoniere fatto di fiato, terra e amicizia.
Tra i protagonisti, Corriferrara,
che con 16 atleti impegnati sulle due prove
seppe onorare il percorso e la compagnia,
tanto da meritare il premio per società,
segno non di vanità, ma di presenza viva e condivisa.
Così commentò Renato Finco, con parole che già paiono rima sciolta:
“Sempre bello correre sui colli euganei con un bel sole e paesaggi surreali sopra la nebbia della Pianura.
Corsa mista sterrato e strada molto partecipata, bel gruppoe premio di società in natura: vino dei colli da dividere per un terzo tempo allegro.”
E davvero, come nei Trionfi, dopo la Fatica venne la Gioia:
un vino dei colli, rosso di terra e di sole,
diviso in un terzo tempo che fu riso, racconto e promessa di ritorno.
Così Arquà, ancora una volta,
non fu solo luogo, ma verso;
non solo corsa, ma memoria in movimento,
dove ogni passo, se ascoltato, può ancora parlare la lingua gentile di Petrarca.



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