martedì 20 maggio 2025

Bologna Marathon in Trail: poker di atleti Corriferrara al traguardo.



La quinta edizione della Bologna Marathon in Trail ha preso il via domenica 18 maggio a Monterenzio (BO) all’interno del Villaggio della Salute Più.

Poco meno di un centinaio i runner al via per la Ultra 43km (in realtà 44) con D+1600m (in realtà quasi 1800..) che alle 8:30 hanno preso il via assieme agli atleti impegnati sulla distanza dei 30 km.

I circa 150 competitivi della gara da 16 km con D+600m hanno invece preso il via alle ore 9.00 assieme ai partecipanti alla non competitiva.

Splendida giornata di sole clima ideale per correre e godersi i colli bolognesi, con vento in altura e natura straripante.

Dopo la partenza dal cuore del Villaggio, si sviluppa per circa 3 km pianeggianti su quello che è stato un ex aeroporto degli alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, per accedere all’Oasi dei laghi attraversando un piccolo guado sul Torrente Sillaro.

Il percorso attraversava poi l'abitato di San Clemente, imbocca Via Calvanella, la “Boston by way”, strada ghiaiata che risale il Rio S. Clemente fino al panoramico spartiacque che verso nord origina il Torrente Quaderna, per raggiungere poi il Caseificio Nicoletta, 1° ristoro della gara.
Si scendeva in seguito una bella sterrata che tra boschi, coltivi e formazioni calanchive percorrendo il crinale di Rignano Vecchio fino a superare i ruderi della Chiesa di S. Cassiano e raggiungere il secondo ristoro all’interno della proprietà del Villaggio Ca’ Sillaro Ca’ Mulino.

Tra i punti toccati dal tracciato la bellissima Media Valle del Sillaro con un sentiero largo e panoramico fino alla particolare Oasi Termale di Zello.
Il percorso presentava infine una serie di “ups & downs” offrendo diversi scorci e panorami fino alla Cima Monterenzio, 600m s.l.m, il punto più alto dove è possibile ammirare tutta la valle a 360 gradi.
Da qui in poi iniziava un “single track” divertente in discesa che si immerge nella collina dove sorge il Villaggio della Salute Più fino all’arrivo.

Ottime prestazioni ed esperienze arricchenti per tutti i nostri atleti che si sono cimentati sulle varie distanze: Nicola Forlani (27º assoluto), Enrico Bonazza e Lucas Huchard nella gara da 16k; Alessio Montanari nella distanza più lunga giunge al traguardo in ottima posizione di classifica e per tutti soddisfazione di una bella medaglia ricordo e abbondante pasta-party.

Il racconto, rigorosamente in Z5 dell’esperienza fra Sturm und Drang, favola e pulp, fango e polvere:

Testa altrove, gambe vuote, problemini fisici vari: in queste condizioni dura trovare la motivazione, specie sapendo di avere una distanza importante da percorrere; in più ho sbagliato tutto il possibile durante la fase di preparazione pre-gara, da vero pivello del trail (quale sono): no colazione, no crema solare, no antidolorifici.

Partiamo: mi si slacciano le scarpe quella dozzina di volte e non siamo nemmeno ad un quarto di gara; al guado entro in acqua fino alle ginocchia, poi poco dopo puntura d’ape sul petto e una prima caduta: pancia a terra e risveglio di dolori pregressi; scricchiolo, mi tolgo lo zainetto da trail e mi siedo un attimo ad elaborare il male; mi superano forse in una trentina, tutti gentilissimi a chiedere se avessi bisogno di aiuto, ma desideravo solo l’elisoccorso; mi passa anche Paola Gelli (impegnata sulla 30km) mentre riparto camminando, nella speranza di aver assunto morfina al posto dell’Oki. Forse per l’agitazione mi viene anche da rimettere, per completare il quadro idilliaco della domenica.

Non sono nemmeno a metà gara, cammino, e sono ampiamente ultimo e in una solitudine scoraggiante. “Dai, fuori l’orgoglio!” mi dico, e riparto a corricchiare, giusto in tempo per incrociare le gambe in un passaggio impegnativo in discesa, inciampare su me stesso e ricadere (questa volta, rovinosamente) in un cratere tipo profondo un metro, dal quale mi salvano i cani da soccorso della forestale; mi sento come il Nokia 3310 del running: cado ma non mi spacco mai, e continuo a funzionare anche se ammaccato peggio di una Multipla a Tripoli; esco dalla fossa dei Tremors che zampillo sangue peggio della statua di San Sebastiano: per fortuna che nel trail squalificano solo se lasci rifiuti in natura, perché se contassero le blasfemie che ho lasciato nel bosco sarei probabilmente radiato a vita dalla Fidal.

Considerata la serie di eventi avversi, lucidamente mi propongo di ritirarmi al prossimo ristoro, prima di finire sbrindellato mettendo un piede su un ordigno inesploso della seconda guerra mondiale: mi assolvo, ripetendomi “ma sì, una giornata storta può succedere a tutti, poi forse sono fuori dal mio contesto”, e sorrido pensando a ciò che mi fa stare bene e mi dà forza nei momenti di difficoltà. 

Forse sono solo esausto, ma il vento in quota prende vita propria e si anima di una potenza mistica; il cielo è immacolato e di un intenso azzurro acquamarina, ma sembra quasi che tuoni fatui vogliano attirare temporali da un’altro emisfero ed una stagione lontana da questo maggio; le raffiche sferzano la montagna che ulula e sembra sbattere su qualcosa di immenso ed invisibile: l’erba medica é un mare a perdita d’occhi nel quale sono immerso e il moto ondoso mi accarezza i polpacci provati dalla fatica e dalle cadute. Ovunque attorno a me fiori rossi, viola e colori e vita.

La sento. Ce l’ho nel sangue: ogni tre battiti ripassa dal cuore (ma oggi a 185 bpm).

Luce. Fuoco sacro.

Mi avvicino al ristoro del 26º km, supero un runner che cammina; poi un altro, ed uno ancora colpito dai crampi. Ora corro, vedo altre persone davanti a me: le gambe riprendono a bruciare watt, l’immaginazione li sopravanza ancora prima di raggiungerli. Al ristoro mi alimento bene e riprendo energia e riparto con una motivazione moltiplicata. Si sale ancora (ed io in salita sono una schiappa, si sa!) ma continuo a superare podisti, anche quelli fighi coi bastoncini e l’outfit perfetto da trail… fino al muro dei 33 km, dove si sale per circa 300 metri su una parete verticale, ed occorre usare anche le mani e gli artigli per salire. 

Neanche il tempo di prendere fiato che inizia una lunghissima salita (su asfalto) che si fa sentire sui polpacci, mentre il caldo di mezzogiorno non dà più tregua. Di nuovo in quota, un bel viale ghiaiato che si perde verso l’infinito (in realtà perdo io la traccia per qualche centinaio di metri, svoltando a sinistra anziché a destra, per poi riprendere la strada ritrovando un po’ di runner superati in precedenza).

Ormai siamo a 40 km e l’unica domanda che mi orbita in testa è “quando si scende?” ma sono talmente disintegrato che anche nell’ultima discesa tecnica e ripidissima devo far prevalere la cautela all’ignoranza che di solito prende il sopravvento: ogni appoggio ora é una fitta al costato, e la devo percorrere frenando la velocità che la gravità terrestre proporrebbe; dovessi cadere per la terza volta, resterei al suolo morto e mummificato come Ötzi, e fra 3000 anni verrei dissotterrato come “il runner cojone del XXI secolo”

Quando lo sportwatch segna i 43 km ufficiali della gara sono ancora immerso nella natura e nel silenzio più assoluto, nemmeno l’ombra del traguardo; abbasso la testa e stringo i denti mentre sento che i piedi ormai sono un’unica vescica dai talloni alle punte delle dita, ma mi dico che ormai chilometro più o chilometro meno, ho portato a termine questa esperienza.

Entro nel villaggio e lascio andare la tensione, taglio il traguardo, mi lascio mettere la medaglia al collo, prima di abbandonarmi in un abbraccio ed un pianto che forse dura più della gara stessa.

Scopro anche di essere arrivato 21º assoluto, che é una bella soddisfazione ma vale comunque meno della consapevolezza che ho guadagnato in questa esperienza: sono vivo, sono questo, sono vero. Cado e mi rialzo, ricado e mi rialzo: la fatica ed il dolore non mi piegano, mi trasformo e nelle difficoltà mi esalto. Solo i miei valori restano fermi. E che cos’è un trail se non l’allegoria della vita? Un viaggio dentro sé stessi, salite dure e discese velocissime. Bei momenti e panorami mozzafiato, cadute rovinose, momenti scoraggianti, ma continuare a mettere un passo davanti all’altro… e pensare che quasi sempre dietro la collina é il sole.

Farewell alle unghie dei miei alluci”.

Alessio



 








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