Per
la trentesima puntata del nostro viaggio nella storia di Ferrara,
oggi andiamo alla scoperta di uno dei luoghi di culto più antichi della città.
Riprendendo
il cammino lungo il quartiere delle ultime puntate, vale a dire la
zona di via XX settembre, oggi andiamo alla ricerca di una piccola
via dal nome curioso, che cela appunto, uno dei luoghi religiosi di
Ferrara tra i più antichi e famosi, anche se spesso fuori dalle
rotte del turismo, in quanto ubicato appena fuori il cuore della
città; questo luogo è il monastero di S. Antonio in Polesine.
Monastero |
Per
arrivarci, dobbiamo cercare ora Via del Gambone.
Oltrepassato
il glorioso Palazzo Costabili, ancora qualche centinaio di metri e
sulla sinistra incrociamo la nostra strada.
Sembrerebbe
che il Gambone, sia proprio quello che per un ferrarese è “al
gambon”, cioè il gambone dei cavoli, nome dato al vicolo, per
ricordare dei giochi famosi per l’epoca (di cui abbiamo parlato nel
capitolo del Corpus Domini) che, nella zona di via Praisolo venivano
effettuati da ragazzi, appunto con torsoli di frutta e gamboni di
cavoli, utilizzati come fossero armi, per rivivere delle battaglie.
Ora,
incamminandoci per questa strada, basta fare pochi metri
(oltrepassando via Beatrice d’Este) ed un bel portone in muratura
appare all’orizzonte, è la porta di entrata al monastero.
Ingresso S.Antonio in Polesine |
Oggi
questa strada è interamente occupata da abitazioni ma un tempo
l’incrocio con via Beatrice d'Este veniva chiamato “vicolo dei
quattro ladroni”, perché nei pressi di detto incrocio esistevano
quattro attività, un farmacista, un fornaio, un oste ed un salumiere
che, come dice il nomignolo, non avevano nessuna pietà per i poveri
avventori.
Varcare
questo portone, è come fare un tuffo nel passato....ci si lascia
alle spalle la città (anche se siamo ben dentro le mura di esse), il
progresso sembra scomparire, si abbandonano i rumori, i clacson delle
auto, e la quiete sembra abbracciarci con la benedizione di
Sant'Antonio Abate (rappresentato dalla statuetta posta al centro del
portale).
Fare
qualche passo e prima di entrare nel cortile del monastero, sediamoci
sulla panchina posta davanti all'accesso; chiudiamo gli occhi e
proviamo ad andare indietro nel tempo per arrivare nel primo
medioevo, quando vengono poste le prime pietre di questo splendido
posto.
Oggi ci risulta difficile immaginarlo, ma ci saremmo trovati
nel bel mezzo di un isolotto attorniato da paludi.....quando ancora
il Po passava in queste zone, l'isola appunto, di S.Antonio.
In mezzo al fiume l'isola di S.Antonio |
Fu
proprio questa caratteristica del terreno, l'alternanza di acqua e
terra, a dare il termine “Polesine” a questo luogo.
Inizialmente
nasce come monastero per frati agostiniani, ma alla metà del 1200, i
frati vengono spostati nel complesso della chiesa di S.Andrea, e qui trovano spazio lo monache benedettine.
S.Antonio
in Polesine acquista rilevanza quando al suo interno, si trasferisce
Beatrice d'Este, e da quel momento questo posto rimane e rimarrà per
sempre legato al suo nome, ma di lei parleremo più tardi.
Azzo
VII d'Este (padre di Beatrice d'Este), dopo aver acquistato il
complesso, inizia ad ampliarlo.
I
lavori principali si ebbero tra il XIII e XIV secolo, per arrivare
nel 1413, quando il vescovo Pietro Boiardi consacrò la chiesa.
Il
crollo dell'attività religiosa si ebbe con l'arrivo dei francesi nel
1796, i quali provvidero a chiudere la chiesa ed a riservare solo un
piccolo spazio alle suore all'interno del convento.
Ma
probabilmente lo scempio più grande, il complesso lo subisce nel
1910, quando un'ala (la parte destra), viene adibita a caserma (ora
soppressa). Nello stesso anno, la proprietà definitivamente passa
al comune di Ferrara.
Oggi
il monastero (tutt'ora abitato da monache di clausura) è per noi ferraresi famoso almeno per due cose, il
miracolo di Beatrice d'Este ed il ciliegio.
Partiamo
dall'ultimo.
Fino
a pochi anni fa, era tradizione, nel periodo tra aprile e maggio,
fare almeno un passaggio nel giardino del convento; proprio al centro
dello spazio verde, faceva bella mostra di se uno splendido ciliegio
giapponese, nome tecnico “Prunus Serrulata”, un unicum in città,
uno degli alberi più rappresentativi di Ferrara, che nel periodo a
cavallo di questi due mesi, esplodeva nei suoi colori ed era una
tappa obbligata passare in questo angolo di città almeno una volta
all'anno per vederlo.
Peccato
che i segni del tempo si siano fatti sentire anche su di lui e nel
2011, l'amministrazione ha dovuto procedere alla sostituzione della
pianta in quanto ormai aveva concluso il suo percorso di vita.
Dal
ciliegio ora al miracolo.
Riprendiamo
la storia interrotta in precedenza di Beatrice d'Este.
Nasce
nel 1226 da Azzo VII Novello d'Este e Giovanna di Puglia e le
cronache dell'epoca narrano che fin da piccola dimostra una forte
vocazione cristiana. Accanto a sé raccoglie alcune seguaci, e sarà
con loro che nel 1258 si trasferisce in questo monastero.
Sfortunatamente
la monaca avrà vita breve, perché a soli 36 anni, colta da un
malore perderà la vita.
Grande eco ebbe la sua morte in città, a tal punto che i
fedeli reclamarono un qualcosa della monaca prima della sepoltura,
le consorelle così decisero di lavare minuziosamente il corpo
e
l’acqua non fu gettata ma conservata e
distribuita
ai fedeli.
Da
questo momento parte la leggenda o la storia............... le
cronache raccontano che, proprio da quell’acqua, vennero operati
numerosi miracoli.
La
storia cominciò a diffondersi e così si moltiplicarono le visite al
monastero, e le richieste di questa acqua miracolosa.
Le
monache si videro costrette a ripetere il lavaggio. Questo fino al
1512 quando ciò che restava della Santa si sgretolò
definitivamente. Le ossa, o quel che avanzava, vennero raccolte in
un’urna deposta dentro un’arca ricca di gemme e ori. Ma accadde
un altro fatto miracoloso. L’arca iniziò a produrre a sua volta
una condensa, raccolta minuziosamente. Ogni anno, fino ai giorni
nostri,
l’evento
si ripete per 5 mesi l’anno (da novembre a marzo), e viene donato
il liquido prodigioso ai fedeli.
Il
fatto è sorprendente perché il resto dell’ambiente è asciutto e
non vi sono crepe o scanalature. Vi si arriva a raccogliere dai 5 ai
7 litri! L’acqua non ghiaccia nonostante vi siano temperature
invernali sotto lo zero.
Ed
ora, lasciando la nostra Beatrice, un'ultima curiosità, se ci
rechiamo nel portichetto del convento, oltre alle porte di accesso al
monastero ed alla chiesta esterna, possiamo notare alcune lapidi
funebri e tra queste una è particolarmente curiosa, si tratta di
quella dello Scalco (il cuoco....il Vissani dei giorni nostri) più
famoso della corte Estense, Cristoforo di Messisbugo, morto nel 1548
e qui sepolto.
Lapide di Messisbugo |
Dopo il doveroso saluto al buon Messisbugo non ci resta che salutarci per rivederci a settembre per la puntata 31.
Alessandro Polesinanti
Alessandro Polesinanti